GESUALDO & GESUALDO
di
Francesco Caloia
Intervento della scrittrice Mirella Napodano alla presentazione del libro a Napoli il 14 dicembre 2011 nell' oratorio del Vasari nella chiesa di Sant'Anna dei Lombardi
L'approssimarsi del quarto
centenario della morte di Carlo Gesualdo, duca di Venosa e principe dei
madrigalisti, che celebreremo nel 2013, sta facendo registrare in tutta Europa
un aumento esponenziale dell'interesse per la figura di questo personaggio
intrigante, che ha scritto alcune tra le pagine più sublimi della storia della
musica, ponendosi soprattutto come l'iniziatore del canto polifonico. Ad Avellino e a Napoli, come pure in regioni
come la Basilicata e l'Emilia Romagna, sono sorti comitati di studio coordinati
in sede europea dal maestro Claudio Abbado, finalizzati alla pubblicazione
integrale delle sue opere, sia in forma cartacea (copie anastatiche degli
spartiti originali) che in forma digitale. Altri Enti a vario titolo
collaborano alla buona riuscita dell'iniziativa: tra cui la Soprintendenza
speciale per il polo museale napoletano, l'analoga struttura della città di
Firenze, il Museo archeologico di Venosa, gli enti provinciali e comunali di
Potenza, Avellino, Napoli, Ferrara, Modena e Reggio Emilia.
Mi piace pensare che l'opera
composita di Franco Caloia si ponga in questa dimensione di ricerca, di
scoperta - contemporaneamente - di un artista e delle proprie radici culturali
e storico-antropologiche. Perciò si tratta di un libro sui
generis, che pone l'auspicio di una rivisitazione delle radici come
percorso identitario di riconoscimento. Ora, il riconoscimento - come si sa - è
uno dei bisogni fondamentali dell'essere umano: riconoscimento di sé, della
propria identità, delle proprie origini. Ogni vero percorso di amicizia e di
amore nasce da un reciproco riconoscimento. Per questo l'autore identifica - e
invita il lettore a fare altrettanto - il piccolo borgo di Gesualdo come luogo
dell'anima, terra magica ed austera, madrigal
paese dove tutto, dai vecchi muri che hanno udito per primi i madrigali del
principe dei musici fino al paesaggio dai cromatismi mutevoli con il cambiare
delle stagioni, tutto congiura per farsi ricordare, anzi per lanciare messaggi
di rimando ad una realtà del passato che implora di rivivere anche per mezzo
nostro, di ciascuno di noi. Sì, perché
Francesco Caloia crede profondamente nel valore catartico dell'arte, ma lo
colora di uno sfondo civile e quasi patriottico, cosa che con i tempi che
stiamo vivendo mi sembra proprio un messaggio urgente ed eticamente orientato,
specie perché principalmente rivolto ai giovani, con piena consapevolezza della
propria mission educativa. Un
recupero estetico rivolto alle giovani generazioni in collaborazione con i padri e i nonni: quasi un passaggio di
testimone.
Ma c'è dell'altro. Nella vita
di tutti e di ciascuno arriva il momento in cui si sente l'esigenza di
raccontarsi: scrivere in forma biografica e/o autobiografica rappresenta un tentativo
di cura di sé (o cura sui, come
dicevano i latini, che se ne erano già accorti). Oggi le scienze pedagogiche -
o come io preferisco definirle, le scienze relazionali - assegnano al pensiero biografico e narrativo
un ruolo di grandissima importanza nella formazione dei giovani e ancor più
degli adulti, nel quadro di quella che si usa definire formazione in tutto
l'arco della vita. L'uso della biografia come cura di sé è stato ed é tuttora
praticato in tutto il mondo, mentre in Italia il massimo esponente di questa
scuola di pensiero é Duccio Demetrio, grandissimo esperto di formazione degli
adulti.
Dunque, tornando a quest'opera “diversamente
creativa”, come argutamente la definisce l'autore stesso, essa nasce da
uno sforzo generoso di attualizzare il
passato: non pura memoria, dunque, ma rivisitazione, rinnovamento,
ri-creazione. E come tale assume la forma di un viaggio che si svolge
contestualmente nella vita di Gesualdo-paese e Gesualdo-musico. Come in tutti i
viaggi, si fanno degli incontri...incontri con persone, paesaggi, antichi
manieri, casupole affastellate ai piedi del poderoso castello, ma anche
incontri con diversi linguaggi poetici che l'autore ha voluto incasellare tra
le pagine, un po' per interrompere il racconto e un po' per riannodarlo e non saprei dire quale delle due cose di
più.
E' così che si verifica in
questo testo la compresenza del saggio, della poesia, del racconto, della
narrazione biografica, della realtà e della fantasia indispensabili per
intessere la trama di un romanzo storico. Il tutto ancora una volta sormontato
dall'antico e intrigante castello, la cui sagoma austera si staglia sul cielo
terso di Gesualdo, terra di chiese e di un perdono invocato con struggente
intensità.
Il testo di Francesco Caloia è
strutturato in più approcci, come ben si conviene ad un'opera che si pone in
un'ottica multidisciplinare: c'è un approccio storico, che occupa la gran parte
del libro, spaziando con dovizia di particolari dal neolitico ai giorni nostri,
con l'occhio sempre puntato sulla figura e le gesta del principe dei musici;
c'è un approccio profondamente sentimentale, decisamente romantico, dedicato all'amore e all'amore che
muore. In questa sezione, si indaga a 360 gradi sul sentimento più forte del
mondo, a cominciare dal mito immortale di Poros e Penìa tramandato da Platone
nel Simposio, passando poi per tutte le accezioni anche sociologiche e per
tutte le declinazioni emozionali del sentimento che occupò in maniera così
corposa la vita e la musica di Carlo Gesualdo.
Franco Caloia ci ricorda il
destino della nostra generazione, caratterizzata dalla contemporanea appartenenza
a due epoche storiche: quella rurale/artigianale/preindustriale e quella
postindustriale/postmoderna/digitale. Circostanza questa veramente singolare
nella storia dell'umanità per la velocità dei cambiamenti, che sottrae spazio
alla capacità di adattamento e di assimilazione dei singoli individui. Ed ecco
quindi sorgere una sottile nostalgia,
che è secondo me l'autentico leit
motiv di quest'opera, che affiora di tanto in tanto nelle parole dei
poeti, nelle splendide immagini degli artisti, ma soprattutto nei paesaggi e
nelle vecchie pietre che sempre si intravedono - come un fondale - dietro le
righe di parole e tra gli spazi bianche dei fogli di questo bel libro.
Dopo gli interventi dei
relatori, dei poeti e degli attori Santa Capriolo e Salvatore Mazza che hanno
recitato alcuni brani tratti dal libro Gesualdo & Gesualdo il quartetto
vocale ESEDRA composto da: direttore Ferdinando De Martino, primo soprano Maria
Siringano, secondo soprano Gabriella Romano, contralto Silvia Tarantino, tenore
Roberto Franco, basso e flauti Angelo Florio, percussioni Francesco Manna, ha
eseguito i madrigali Arde il mio cor, Io
tacerò, Che fai meco mio core di Gesualdo
da Venosa e madrigali di altri
autori.
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