sabato 17 dicembre 2011

Presentazione del libro GESUALDO & GESUALDO a Napoli


GESUALDO  & GESUALDO
di Francesco Caloia


Intervento della scrittrice Mirella Napodano alla presentazione del libro a Napoli il 14 dicembre 2011 nell' oratorio del Vasari nella chiesa di Sant'Anna dei Lombardi

L'approssimarsi del quarto centenario della morte di Carlo Gesualdo, duca di Venosa e principe dei madrigalisti, che celebreremo nel 2013, sta facendo registrare in tutta Europa un aumento esponenziale dell'interesse per la figura di questo personaggio intrigante, che ha scritto alcune tra le pagine più sublimi della storia della musica, ponendosi soprattutto come l'iniziatore del canto polifonico.  Ad Avellino e a Napoli, come pure in regioni come la Basilicata e l'Emilia Romagna, sono sorti comitati di studio coordinati in sede europea dal maestro Claudio Abbado, finalizzati alla pubblicazione integrale delle sue opere, sia in forma cartacea (copie anastatiche degli spartiti originali) che in forma digitale. Altri Enti a vario titolo collaborano alla buona riuscita dell'iniziativa: tra cui la Soprintendenza speciale per il polo museale napoletano, l'analoga struttura della città di Firenze, il Museo archeologico di Venosa, gli enti provinciali e comunali di Potenza, Avellino, Napoli, Ferrara, Modena e Reggio Emilia.
Mi piace pensare che l'opera composita di Franco Caloia si ponga in questa dimensione di ricerca, di scoperta - contemporaneamente - di un artista e delle proprie radici culturali e storico-antropologiche. Perciò si tratta di un libro  sui generis, che pone l'auspicio di una rivisitazione delle radici come percorso identitario di riconoscimento. Ora, il riconoscimento - come si sa - è uno dei bisogni fondamentali dell'essere umano: riconoscimento di sé, della propria identità, delle proprie origini. Ogni vero percorso di amicizia e di amore nasce da un reciproco riconoscimento. Per questo l'autore identifica - e invita il lettore a fare altrettanto - il piccolo borgo di Gesualdo come luogo dell'anima, terra magica ed austera, madrigal paese dove tutto, dai vecchi muri che hanno udito per primi i madrigali del principe dei musici fino al paesaggio dai cromatismi mutevoli con il cambiare delle stagioni, tutto congiura per farsi ricordare, anzi per lanciare messaggi di rimando ad una realtà del passato che implora di rivivere anche per mezzo nostro, di ciascuno di noi.  Sì, perché Francesco Caloia crede profondamente nel valore catartico dell'arte, ma lo colora di uno sfondo civile e quasi patriottico, cosa che con i tempi che stiamo vivendo mi sembra proprio un messaggio urgente ed eticamente orientato, specie perché principalmente rivolto ai giovani, con piena consapevolezza della propria mission educativa. Un recupero estetico rivolto alle giovani generazioni in collaborazione  con i padri e i nonni: quasi un passaggio di testimone. 
Ma c'è dell'altro. Nella vita di tutti e di ciascuno arriva il momento in cui si sente l'esigenza di raccontarsi: scrivere in forma biografica e/o autobiografica rappresenta un tentativo di cura di sé (o cura sui, come dicevano i latini, che se ne erano già accorti). Oggi le scienze pedagogiche - o come io preferisco definirle, le scienze relazionali -  assegnano al pensiero biografico e narrativo un ruolo di grandissima importanza nella formazione dei giovani e ancor più degli adulti, nel quadro di quella che si usa definire formazione in tutto l'arco della vita. L'uso della biografia come cura di sé è stato ed é tuttora praticato in tutto il mondo, mentre in Italia il massimo esponente di questa scuola di pensiero é Duccio Demetrio, grandissimo esperto di formazione degli adulti.
Dunque, tornando a quest'opera “diversamente creativa”, come argutamente la definisce l'autore stesso, essa nasce da uno sforzo generoso  di attualizzare il passato: non pura memoria, dunque, ma rivisitazione, rinnovamento, ri-creazione. E come tale assume la forma di un viaggio che si svolge contestualmente nella vita di Gesualdo-paese e Gesualdo-musico. Come in tutti i viaggi, si fanno degli incontri...incontri con persone, paesaggi, antichi manieri, casupole affastellate ai piedi del poderoso castello, ma anche incontri con diversi linguaggi poetici che l'autore ha voluto incasellare tra le pagine, un po' per interrompere il racconto e un po' per riannodarlo  e non saprei dire quale delle due cose di più.
E' così che si verifica in questo testo la compresenza del saggio, della poesia, del racconto, della narrazione biografica, della realtà e della fantasia indispensabili per intessere la trama di un romanzo storico. Il tutto ancora una volta sormontato dall'antico e intrigante castello, la cui sagoma austera si staglia sul cielo terso di Gesualdo, terra di chiese e di un perdono invocato con struggente intensità.
Il testo di Francesco Caloia è strutturato in più approcci, come ben si conviene ad un'opera che si pone in un'ottica multidisciplinare: c'è un approccio storico, che occupa la gran parte del libro, spaziando con dovizia di particolari dal neolitico ai giorni nostri, con l'occhio sempre puntato sulla figura e le gesta del principe dei musici; c'è un approccio profondamente sentimentale, decisamente  romantico, dedicato all'amore e all'amore che muore. In questa sezione, si indaga a 360 gradi sul sentimento più forte del mondo, a cominciare dal mito immortale di Poros e Penìa tramandato da Platone nel Simposio, passando poi per tutte le accezioni anche sociologiche e per tutte le declinazioni emozionali del sentimento che occupò in maniera così corposa la vita e la musica di Carlo Gesualdo.
Franco Caloia ci ricorda il destino della nostra generazione, caratterizzata dalla contemporanea appartenenza a due epoche storiche: quella rurale/artigianale/preindustriale e quella postindustriale/postmoderna/digitale. Circostanza questa veramente singolare nella storia dell'umanità per la velocità dei cambiamenti, che sottrae spazio alla capacità di adattamento e di assimilazione dei singoli individui. Ed ecco quindi sorgere  una sottile nostalgia, che è secondo me  l'autentico leit motiv di quest'opera, che affiora di tanto in tanto nelle parole dei poeti, nelle splendide immagini degli artisti, ma soprattutto nei paesaggi e nelle vecchie pietre che sempre si intravedono - come un fondale - dietro le righe di parole e tra gli spazi bianche dei fogli di questo bel libro.

                                                                               

Dopo gli interventi dei relatori, dei poeti e degli attori Santa Capriolo e Salvatore Mazza che hanno recitato alcuni brani tratti dal libro Gesualdo & Gesualdo il quartetto vocale ESEDRA composto da: direttore Ferdinando De Martino, primo soprano Maria Siringano, secondo soprano Gabriella Romano, contralto Silvia Tarantino, tenore Roberto Franco, basso e flauti Angelo Florio, percussioni Francesco Manna, ha eseguito i madrigali Arde il mio cor,  Io tacerò, Che fai meco mio core di Gesualdo  da Venosa   e madrigali di altri autori.

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